Chiara Castiello è una psicologa, esperta di adolescenza e innovazione sociale, con una grande passione per la fotografia, la scrittura e la musica jazz. Chiara per anni ha indossato un corsetto, dai dieci fino ai 18 anni. Ancora oggi si prende cura della propria schiena, infatti è una dei nostri pazienti adulti. Chiara ha condiviso con noi la sua esperienza di ragazzina in corsetto ma soprattutto una riflessione da adulta e psicologa sull’importanza della percezione del proprio corpo e la salute sia fisica sia psichica. Grazie!
Di seguito il suo testo “Il corpo” di Chiara Castiello.
“Lei è figlia unica?”
Con mio stupore era la seconda volta che ripetevo che “Sì, lo sono”. E non poteva essere altrimenti. Era un bene che lo fossi, o una necessità.
A dieci anni le vertebre della mia colonna avevano deciso di non allinearsi perfettamente ma assumere una forma a C come l’iniziale del mio nome. Il busto ortopedico, dopo aver scongiurato il gesso, era stata la cura consigliata dai medici del nord. Lunghi e ripetuti viaggi in auto, infinite attese e prove di questo “abito” di plastica rigida e alluminio, con spinte sui fianchi e dietro una scapola.
Nella fase iniziale sembra davvero un abito su misura e la sensazione è anche piacevole. In piedi in una stanza, con le braccia appoggiate a due pali, che ti aiutano a tenerle sorrette e distanti dal torace. Ti infilano una garza aderente color burro e sopra vengono applicate fasce calde di gesso che ti modellano il corpo. Nel giro di poco “l’abito” prende forma, si compatta e ti soffoca. Poi una forbice lo taglia all’altezza dell’ascella, lo apre, come una porta, e tu ne vieni fuori nudo e infreddolito.
Il busto ortopedico ti insegna la sopportazione. Ti insegna a dormire supino sulla superficie dura della plastica, a sopportare il freddo del contatto con l’alluminio d’inverno. Ad amare l’ombra e i posti freschi d’estate. Ti insegna la disciplina (nel mio caso, per un lungo tempo potevo toglierlo solo un’ora al giorno); a non grattarti le punture di zanzara poiché chiuse nella “tua scatola” sono irraggiungibili! La moderazione, poiché ti comprime la pancia se mangi troppo. Ti insegna a coprirti per la paura di essere scoperti. A non seguire la moda, poiché non ti è concesso; ad abbottonarti i colletti delle polo che indossi e a comprarle di una taglia in più.
A prendere le cose che cadono a terra con i piedi, così da non doverti chinare troppo spesso. A correre veloce sotto le porte di sicurezza all’ingresso dei musei per evitare che suonino. A schivare gli abbracci dei maschi e a desiderarne in segreto.
Ti nega il confronto con l’altro poiché quest’ultimo è sano, normale e libero. Ti illude di essere sempre bambina e ti impedisce di pensare al tuo corpo che è lì, ma invisibile. Sorretto artificialmente, sta crescendo compresso. Il suo sviluppo, se non per i peggioramenti della colonna vertebrale, resta impercettibile.
E quando poi l’“abito” diventa stretto si corre al nord a farne uno nuovo. In queste infinite visite io e i miei genitori trasportavamo in auto per 620 km il mio corpo e le sue fotografie in bianco e nero: le radiografie dove i medici, in camice bianco con righello e matita rossa, trascrivono i numeri, i gradi di inclinazione delle curve, indicando così i suoi progressi positivi o negativi. Questo corpo-cosa separato da me, così medicalizzato, osservato, aggiustato, è un estraneo che di nascosto, fuori dal mio controllo, cresce, muta, tradisce, si aggrava e, con grande sforzo e dopo lunghi anni, guarisce.
Da paziente e adolescente (ora adulta) scoliotica vorrei far luce sull’importanza di lavorare parallelamente sulla percezione della propria immagine corporea. Percepire: acquisire coscienza di Sé. Io sono il mio corpo; mi appartiene e con esso mi relaziono al mondo; e nonostante la scatola di plastica io posso vivere, relazionarmi ed esperire questo non-oggetto al di fuori della gabbia.
E c’è dell’altro. L’ Io non può essere messo in pausa per attendere la guarigione del corpo poiché le due entità non sono separate. Detto altrimenti, è fondamentale non trascurare l’interezza della persona come unione di corpo e psiche. Il benessere o il malessere di entrambi viaggia nella stessa carrozza dello stesso treno; sono interdipendenti. Lo scrittore francese Sartre scrive che il “corpo è l’oggetto psichico per eccellenza, il solo oggetto psichico” (1943, p.429).
Se questo avvenisse non ci si troverebbe così impreparati al termine del trattamento; non ci si troverebbe così impauriti, così fragili, disarmati, frammentati. Medicalizzare e isolare il corpo è un errore che spesso ancora viene commesso nella pratica della cura, ma esso vive e respira con tutto il suo essere.
Noi siamo la nostra storia, il nostro vissuto, sin dalla nascita; siamo unici e come tali meritiamo di essere accolti. Solo così possiamo veramente dichiararci guariti e liberi.