Non si può dimenticare qualcosa che è stato parte di te per tanto tempo. Certe volte mi sembra di dimenticarlo. Eppure basta poco, un pensiero fugace, ed eccomi indietro di quattro anni.
Sarei un’ipocrita se scrivessi che lo ricordo con piacere, che mi manca e che tutto sommato, col senno di poi, è stato facile. È stato difficile, è stato doloroso ed è stato un peso, di cui mi sono resa conto pienamente solo quando era tutto finito.
La mia esperienza è come quella di moltissimi pazienti di Isico, perché sono stata una normalissima adolescente che non ha fatto altro se non vivere la propria normalissima adolescenza indossando un corsetto.
Mi capita ancora di pensare come fosse vivere con il corsetto.
Ad esempio, quando mi raggomitolo nel letto, mi ricordo improvvisamente di quelle notti in cui mi era impossibile farlo, perché con il corsetto si riesce solo a dormire dritti e l’unico movimento che si può fare facilmente è voltare la testa di lato sul cuscino.
Se mi cade una penna dalla scrivania intanto che sto studiando, ora posso chinarmi e facilmente raccoglierla dal pavimento, ma nel farlo certe volte ricordo che ci sono stati giorni in cui non sarebbe stato così semplice e veloce: avrei dovuto alzarmi dalla sedia, inginocchiarmi e allungare al massimo il braccio verso il pavimento, a tentoni prenderla e poi nuovamente alzarmi e risedermi.
Rammento l’estate, in vacanza. Andavo al mare solo la mattina, perché il pomeriggio dovevo indossare il corsetto e, visto che il caldo era terrificante, stavo tutto il tempo nella camera dell’albergo.
Come potrei, poi, dimenticare il fatto che, in quegli anni, dovevo programmare tutta la mia giornata: le uscite con le amiche, la scuola, lo sport, in funzione delle ore in cui dovevo portare il corsetto. Le chiamavo le “ore di libertà”, quelle in cui potevo togliermelo e comportarmi come una qualunque ragazza.
Sarei un’ipocrita dunque se dicessi che non è stato difficile e pesante, ma lo sarei anche se omettessi il fatto che non rimpiango minimamente di aver fatto tutto questo.
Conservo i miei corsetti, tutti e cinque e, anche se sono relegati in cantina, chiusi nelle loro sacche grigie con la scritta grande e blu “Isico”, e non ne ho più indossato uno da quando la terapia è finita, ancora mi capita di andare a vederli.
Se non fosse stato per loro ora probabilmente la mia scoliosi avrebbe una curvatura al di sopra dei trenta gradi e proverei molto più male di quanto abbia mai avuto durante la terapia.
Ricordo l’ultima visita, nello studio del prof. Negrini. Dentro di me urlavo: “Ti prego, dimmi che è finita!”. Ed era veramente finita. Ce l’avevo fatta. Grazie anche al prof. Negrini e a tutti i medici e fisioterapisti Isico.
Uscii e scoppiai a piangere. Ho pianto tutto il pomeriggio lacrime di una grandissima e pura gioia.
Avevo vinto la mia battaglia.