Buon Natale e felice 2025

Buon Natale e felice 2025

Per i nostri auguri quest’anno ci siamo affidati a una favola scritta da una giovane amica, Alice, ispirata alle parole dello scrittore e filosofo Albert Camus.
Vi proponiamo di seguito la favola e le parole tratte dal romanzo Ritorno a Tipasa (Retour à Tipasa), con la speranza che questo Natale ci doni la forza di scoprire e coltivare la “nostra invincibile estate”, trovando nuove risorse dentro di noi e portando gentilezza e speranza attorno.
Un caloroso augurio di serenità, salute e gioia per il nuovo anno da parte di tutto il team ISICO.

Cera una volta il Gelido Inverno, la pelle carta da zucchero, le guance gonfie di vento, i capelli nascosti da una fitta coltre di neve. Camminava cupo di via in via, gelando d’un soffio il naso ai passanti, imprigionando i bulbi di non-ti-scordar-di-me nella buia terra, ferendo le nocche già contratte dal gelo. E più affrettava il passo, urlando silenzioso il suo freddo, più avvertiva in sé qualcosa di estraneo che prese a chiamare Sintomo.
Lo udiva battere un inno che ancora non conosceva. “Lasciami stare”,  gli diceva. “Vattene”, lo pregava. Reduce di notti insonni, alla ricerca di quel Sintomo che stava proprio dentro di lui, cadde finalmente in un sonno profondo.
Il suo sogno era… tiepido? Sui suoi capelli la neve iniziò a sciogliersi e gocce brinate presero a cadere in rivoli, accarezzando la fronte, gli zigomi, il mento di un Inverno sempre più meravigliato.
Stava inginocchiata, dinanzi a lui, il suo Sintomo. Era una dama con dei capelli color zafferano che parevano tagliati alla cieca o mozzati da una lama, gli occhi turchesi saettanti, la pelle come un mosaico di lividi purpurei. Sorrideva, gli occhi fissi nei suoi. Inverno distolse lo sguardo, ma le mani ruvide di lei gli divoravano la vista. Tornò a quegli occhi magnetici e si scoprì a sorridere, suo malgrado. Nei contorni sfocati del sogno accostò il suo volto a quello della donna, curvandosi fino a trovarsi in ginocchio come lei, che pur continuava a sovrastarlo e vincerlo.
Fu nel sussurro di lei che il sogno si dissolse, lasciando solo una promessa a pervadere ogni minuscola parte del corpo di Inverno. E, mentre correva di casa in casa e le dita rosa dell’alba coloravano la città, una risata cristallina rimbalzava echeggiante. Una risata che era interrotta solo da una parola, una volta cantata, un’altra urlata, un’altra meramente sussurrata: “Estate”.

Questa “invincibile estate” è la speranza che ci salva perché, come scrive Camus

«… ho ritrovato la bellezza perduta, un cielo giovane, e ho misurato la mia fortuna, capendo finalmente che negli anni peggiori della nostra follia il ricordo di quel cielo non mi aveva mai abbandonato. Laggiù, il mondo ricominciava ogni giorno in una luce sempre nuova. O luce! … e ora lo sapevo. Nel bel mezzo dell’inverno, ho infine appreso che vi era in me un’estate invincibile”.

 

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