Scoliosi: il nostro approccio personalizzato e condiviso funziona meglio

Scoliosi: il nostro approccio personalizzato e condiviso funziona meglio

Quanto è efficace un approccio al trattamento della scoliosi personalizzato, basato sull’esperienza clinica, combinata con le evidenze scientifiche note relative ai fattori di rischio e all’obiettivo terapeutico, e sull’adattamento della prescrizione alle caratteristiche del paziente che ne favorisce l’adesione al trattamento, come quello di Isico, rispetto a un approccio semplificato, che prevede una solo tipo di corsetto con un dosaggio standardizzato? 

Moltissimo secondo i dati raccolti dal nostro studio, A Pragmatic Benchmarking Study of an Evidence-Based Personalised Approach in 1938 Adolescents with High-Risk Idiopathic Scoliosis, appena pubblicato dal Journal of Clinical Medicine.

I circa 2000 pazienti inclusi dal nostro Istituto, dal 2004 al 2017, ne fanno il più ampio studio attualmente presente in letteratura sul trattamento riabilitativo della scoliosi. 

Abbiamo confrontato i risultati ottenuti in Isico, rispetto alla probabilità di evitare la chirurgia, con quelli di due studi randomizzati, cosiddetti perché i pazienti vengono inclusi in una terapia o in un’altra in base al caso, al fine di garantire a tutti la stessa probabilità di essere trattati o osservati.
Uno studio era sul corsetto a fasce elastiche Spinecor, l’altro sul corsetto rigido: “Il confronto ha mostrato che un approccio basato sull’evidenza derivata dai dati raccolti, condiviso col paziente e personalizzato come il nostro ha risultati nettamente migliori rispetto a quelli standardizzati – spiega il prof. Stefano Negrini, direttore scientifico di Isico e autore della ricerca – In Isico ogni paziente ha un percorso unico e personalizzato sia per il dosaggio della terapia sia per la scelta del corsetto, quando altri centri invece propongono il corsetto di cui si ha maggiore esperienza: una sorta di menù alla carte, se mi passate il paragone, che ci consente di trovare il giusto equilibrio con un trattamento più o meno invasivo a seconda dei pazienti, dei rischi di progressione e degli obiettivi terapeutici concordati”.

Che cosa ne consegue? Il paziente è non solo coinvolto nella scelta terapeutica ma si sente parte attiva nel perseguimento dell’obiettivo finale, raggiunto attraverso una terapia graduale, passo dopo passo. Quindi maggiore coinvolgimento uguale maggiore adesione e migliore risultato, proprio come ha anche dimostrato un altro nostro studio pubblicato qualche anno fa Adolescent idiopathic bracing success rates influenced by time in brace: Comparative effectiveness analysis of the BrAIST and ISICO cohorts. 

“Già con quello studio che confrontava i nostri risultati con quelli raccolti dallo studio BrAIST di Lori Dolan e Stuart Weinstein – continua il prof. Negrini –  abbiamo dimostrato che la terapia in Isico funziona meglio, con una percentuale di ricorso all’intervento che è un terzo rispetto a quella americana: i pazienti di Isico indossano per un numero di ore di gran lunga maggiore il corsetto, attenendosi alla prescrizione. Questa nuova ricerca pubblicata ci mostra che il ricorso alla chirurgia è del 2% per i nostri pazienti, del 28% per quelli dei gruppi standardizzati. La terapia in Isico si basa su un approccio a gradini che dall’osservazione, esercizi, spinecor, corsetto rigido, corsetto super rigido (in sostituzione al gesso in Isico si utilizza con altrettanta efficacia il corsetto Sforzesco) giunge fino alla chirurgia”.
Che cosa decreta il successo di questa terapia? L’equipe terapeutica ma soprattutto la fiducia e la collaborazione del giovane paziente e della sua famiglia.

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