E’ una vera e propria “scelta politica” della nostra struttura che, a volte però, ci viene contestata nei questionari di qualità. A volte poi ci sono genitori che vogliono fare un colloquio prima o dopo la visita per vari motivi, ma questo ci mette sempre a disagio come terapeuti e medici. E’ importante capire perché.
Il trattamento della scoliosi, qualunque esso sia, che siano i noiosi esercizi o l’ingombrante corsetto, o ancora il pericoloso intervento chirurgico, è sempre e comunque invasivo. Ovviamente con gradi di invasività diversi. La partecipazione cosciente e voluta del paziente è indispensabile, perché gli esercizi richiedono di essere fatti attivamente e con attenzione, perché il corsetto necessita di essere indossato e ben stretto per molte se non tutte le ore della giornata, perché l’intervento chirurgico è invasivo e doloroso e provoca delle conseguenze permanenti.
Chi di noi accetterebbe anche solo di affrontare un trattamento invasivo senza sapere perché o quali siano le conseguenze se lo si fa o meno, e senza essere soprattutto adeguatamente motivato? Nella scoliosi si aggiunge qualcos’altro.
In qualunque momento insorga la scoliosi, la fase peggiore coincide sempre con l’adolescenza. E l’adolescenza è la stagione della vita in cui la personalità si forma attraverso una individualizzazione dai genitori, che rimangono figure essenziali ma dalle quali ci si deve separare in modo più o meno deciso.
E’ il momento in cui comincia la battaglia, più o meno evidente, più spesso con il genitore dello stesso sesso, a volte con entrambi. E’ il momento della scoperta del proprio corpo e dell’altro sesso. E’ il momento delle più o meno violente pulsioni ormonali.
E’ il momento in cui un ragazzo difficilmente sopporta che si faccia qualcosa che lo riguarda al di sopra della sua testa e senza coinvolgerlo: in questo caso parliamo della sua salute e del suo fisico, con cui ha già le sue difficoltà, e di una terapia comunque difficile e più o meno invasiva. Cosa c’è di più personale e da preservare più gelosamente?
Un ulteriore elemento in tutto questo è il patto terapeutico. Questo avviene tra il medico e il suo paziente, anche con la mediazione dei genitori: mai senza il paziente. Se il medico non può parlare con il suo paziente, magari guardando in faccia i genitori e solo di sottecchi il ragazzo e fingendo di parlare con gli adulti con l’intento di rivolgersi a un adolescente che in quel momento fa finta di non sentire, allora salta la relazione medico/paziente, alla base del patto terapeutico. E senza patto terapeutico non si va da nessuna parte.
Il patto terapeutico comprende sacrifici che si possono fare o che si devono addolcire pur di portare a casa il risultato. Ed il patto si fa in due: medico e paziente.
Sono anch’io un genitore e so quanto sia importante il bene dei miei figli.
Vorrei evitare loro le difficoltà della vita, ma so che è ancora più importante allenarli a fronteggiarle.
So che per loro è fondamentale trovare gli aiuti giusti, così da essere capaci di affrontare le difficoltà e non subirle. Perché nella vita non conta solo il risultato finale ma ancor di più come si è combattuto: sappiamo che non si può vincere sempre, tuttavia se ci si arrende prima di cominciare non si potrà mai vincere. E la malattia, soprattutto quella che interviene presto, durante la crescita, è sì una prova dura ma può diventare, nostro malgrado, uno strumento formidabile di crescita equilibrata, che consenta di riconoscere l’importanza dell’aiuto esterno e della capacità di trovare dentro di sé le risorse per affrontare le terapie.
Spesso noi genitori per primi sottovalutiamo la forza dei nostri figli. Cerchiamo di proteggerli pensando di fare il loro bene, quando invece il nostro compito è renderli indipendenti, capaci di volare da soli e affrontare le difficoltà, non sostituirci a loro. Lasciamoci stupire dai nostri bambini e ragazzi e non pensiamo che siano troppo piccoli per capire (lo diceva anche il piccolo principe!).
Nemico di tutto questo sono i segreti – ed i colloqui privati dei genitori sulla salute dei figli saranno sempre interpretati dai figli come “segreti” alle loro spalle.
Ed i bambini piccoli ? Nel trattamento della scoliosi saranno i futuri adolescenti. La relazione con l’adolescente si costruisce già con il bambino. E vi possiamo assicurare che i bambini sono altrettanto attenti, anche se poi la loro serenità dipenderà solo da quella dei genitori. A volte sono i bambini stessi che vogliono fuggire e lasciare i genitori ad ascoltare il trattamento che li aspetta – ma in questi casi sono quasi sempre bambini impauriti o sofferenti, e renderli partecipi è ancora più importante. Senza fare violenza o imporsi, ma rispettando il loro dolore interiore. Con l’aiuto determinante dei genitori.
Quindi non è possibile parlare alle spalle: non è giusto ed è controproducente. Aliena la relazione con il vero protagonista del trattamento: il paziente. In questo parlare apertamente ovviamente ci vuole tutta l’attenzione e la sensibilità che programmaticamente mettiamo a disposizione di chi si rivolge a noi. Pesiamo le parole sempre, e le pesiamo soprattutto rispetto alla parte più debole che è il nostro paziente. Anche perché abbiamo imparato negli anni che un bravo paziente sopperisce a genitori assenti, mentre nessun genitore, per quanto bravo, potrà mai sopperire all’assenza del paziente: il vero e unico protagonista del trattamento della scoliosi.